Otherside
Non so voi, ma ad ascoltare questa canzone, ma proprio ogni volta che la sento, mi riempie un senso di solitudine e ingiustizia. Un senso di uneasiness, una profonda tristezza ed il desiderio di cambiare, di tenere a galla la barca. A me trasmette una sensazione terrena di quello che prova, in una perfetta armonia tra testo e musica, sembra quasi una brezza di una mattina di Novembre che bussa alla porta sotto un uggioso cielo irrequieto. L'immagine che affiancato al testo non rende giustizia al quadro che mi sono costruito ascoltando questo brano: infatti, mi sono sentito quasi pervaso ed invaso da una figura, un profilo sfuocato. C'è una barca vista dall'alto, una barca vuota, senza né vele né remi, placidamente adagiata su un velo infinito, un mare che riflette il cielo grigio sopra di esso. Nulla si scorge all'orizzonte, come nulle sono le speranze di quella barca, abbandonata nell'oceano. L'unica speranza, l'unico raggio di luce in quel grigio crudele, è appunto un bagliore, tiepido e cauto, che si affaccia a chiazze tra i nembi, illuminando di un fioco giallo pastello la piccola e sola barchetta. Come nel testo, dove si cita Dio alla fine dell'introduzione, lo si trova come figura non assente ma ferma, così la luce nell'immagine, distante, intangibile e apparentemente impotente. Quasi una visione epicurea, quella della divinità ferma, beata, fuori dagli interessi terreni. Una divinità completamente disinteressata, una divinità incapace di provare pietà verso l'uomo, creatura imperfetta davanti alla sua perfezione. Quella luce, quel raggio di speranza altro non è che la fede dell'uomo, la fiducia nella normalità e nella vita. Una fiducia profonda, nata al fine stesso di preservare la nostra esistenza, preservarla dalla pesantezza del cielo, imparziale e completamente apatico, che la nostra visione soggettiva individua inevitabilmente come malvagio. La solitudine che quindi provo ascoltando questa canzone è forse il riconoscere la distanza da quella luce, quella distanza incolmabile, accorgendosi che ciò che ci è più vicino è il quotidiano incessante, i problemi, le paure, i dolori, "we live on the cusp of death thinkin' that it won't be us". Il piacere è una via di fuga, un pranzo di fortuna per un naufrago. La canzone, il rap di Macklemore, è molto vicino all'ascoltatore, riesce a comunicare cose che in altri generi è difficile. Ci riesce a comunicare senza problemi questo desiderio di allontanarsi, di remare via dalle acque scure, dai problemi, dall'ipocrisia del mondo che non li ammette, "it won't be us". Questa luce, questo velo dorato che ci acceca, non è altro che l'ipocrisia dell'uomo, la falsità che ci fa comodo, ci aiuta a voltarci, a non guardare l'oceano che sotto di noi ci sta inesorabilmente inghiottendo, non sentire il cielo grigio che ci sta inevitabilmente schiacciando. "Nah, it won't be us"