Mad World
Ascoltando questo pezzo di Gary Jules, mi trovo spesso a pensare come ci si possa ritrovare estranei nella propria esistenza. Mi fa immaginare una persona al centro di un'inquadratura, alla quale intorno accadono le cose più diverse e banali, e quella persona sorride compiaciuta o guarda in un riguardoso silenzio come un beneducato spettatore. Kind of funny, kind of sad, espressioni distanti ed incolori in uno spazio alieno, dove la normalità è un'apatia radicale, dove solo sfocate maschere vestono di grigiastri colori pastello il volto di quella persona, inutili finzioni sociali. Dentro di lei, la persona riconosce come l'intero mondo non sia altro che mad, ma si limita a sorridere e ad omologarsi in una classe a cui non appartiene. Tutti corrono in circolo attorno a lei, come folli, quasi in un rito fanatico per la normalità. Quella persona è un bambino, in un classe finta che attorno a lui invoca lo spirito di uguaglianza estrema, aspettando una futile e terrena ricorrenza come il compleanno, con un insegnante che sembra disperatamente cercare di raggiungere la normalità dietro la maschera di quel bambino, invano. Il bambino arriva persino ad ammettere come i sogni di morte siano i migliori, forse come estraniazione finale dal suo corpo prestampato, l'ultima frontiera della fantasia. Sembra inoltre che echeggi nella sua testa un desiderio di essere aiutato, con l'echeggiare del mad world, quasi com una preghiera senza dio a cui rivolgersi se non al suo vero io. Una malinconica solitudine cosciente, dove la coscienza stessa ti impedisce e ti obbliga a sederti ed ascoltare, come dovresti. Proprio la ragione rende il mondo folle autogiustificando la propria follia con la normalità esterna, invertendole. Così ho scelto come immagine rappresentativa quell'albero alla fine delle file di paletti non solo per l'aura di solitudine che richiama, ma sopratutto perché mi sembra rappresentare alla perfezione qualcosa di diverso nell'omologazione: l'albero, che per noi - e per lui - è la normalità, è qualcosa di diverso per quei monotoni paletti uguali, che a sua volta l'albero ritiene folli. Pur di non crollare, l'identità spezza la normalità dell'intero mondo esterno.